Ad memoriam: Eugenio Borgna

(22-7-1939 – 4-12-2024)

Eugenio Borgna è stato tra i protagonisti della stagione aurea della psicopatologia fenomenologica nel nostro paese.  Ha sempre lavorato nell’ospedale di Novara, nelle sezioni femminili.  In gioventù ha operato a stretto contatto con GE Morselli, ed ha condiviso un’atmosfera culturale nuova, moderna, permeata di un pensiero e di uno stile lontani dalla psichiatria positivista e organicista. Un’autentica “valanga culturale”: Morselli e Borgna a Novara, Cargnello e Calvi a Sondrio, Callieri a Roma, Barison e l’esordiente Basaglia nelle terre venete, Ballerini in Toscana: accomunati tutti dall’essere maestri “senza cattedra” (e tuttavia Borgna teneva a ricordare la sua libera docenza presso la Clinica delle malattie nervose e mentali presso l’Università di Milano). E dopo di loro, via via seguendo sentieri ormai consolidati la generazione dei giovani: Rossi Monti, Stanghellini e Di Petta, Dalle Luche e Martinotti.  

Ai margini della psichiatria accademica, questi studiosi hanno tuttavia modificato nel profondo la teoria e la prassi della psichiatria. Nuovi i rifermenti culturali: Karl Jaspers e Ludwig Binswanger avevano abbandonato il sapere delle scienze neurologiche volto a registrare pazienti come oggetti di un catalogo, e avevano invece insegnato l’importanza dell’ascolto e della comprensione, la necessità di cogliere i vissuti, di vibrare all’unisono con le emozioni. Questi pensatori si erano resi conto che l’esperienza dell’alienità era un nuovo modo inedito di progettare la vita, di inoltrarsi lungo sentieri sconosciuti e densi di mistero.  In questa prospettiva Borgna ha preso in considerazione “i conflitti del conoscere” immanenti al nuovo tipo di incontro clinico, ha navigato lungo l’arcipelago delle emozioni, ascoltato le intermittenze del cuore, ha quindi esplorato con cura le forme che configurano le vie dell’alterità e articolano le strutture capaci di permettere all’esistenza nuove possibilità e dimensioni.  In questa apertura “radicale” (uso un aggettivo caro ad Eugenio), essenziali per alimentare un fruttuoso dialogo, sono state le voci dei filosofi come quelle di Enzo Paci, di Carlo Sini, di Umberto Galimberti e di Federico Leoni.  Come Jaspers Borgna si sofferma sulle esperienze limite, dove disagio e angosce interrogano l’abisso, dove vince l’ombra, come gli fa eco Bruno Callieri: uno spazio dove la sofferenza alimenta tuttavia la creatività, dove scaturiscono la voce della poesia, il gesto dell’arte. Già Morselli si era soffermato sulle crisi di vita e contemplato i fermenti di creativi di Gerard de Nerval e di Daniele Ranzoni. Borgna estende queste citazioni dell’anima romantica e le aggiorna ai giorni di crisi della Mitteleuropa, alla poesia di Georg Trakl ed a voci femminili a noi vicine, quelle di Antonia Pozzi e di Simon Weil.  E sa cogliere nella stessa dissoluzione dell’esistenza, nello sguardo estremo che si posa sul mondo, il sigillo della verità e dell’arte. In questo senso la psichiatria può essere la sorella minore della poesia e riuscire essenziale al fine di comprendere la complessità umana. Quella di Borgna è sempre una lettura empatica che si immerge nel profondo delle cose, in una profondità ai margini del nulla: una visibilità al limite del sopportabile, che sempre si confronta con il palpito della carne. Tutti ricordiamo il suo modo di parlare e di argomentare, denso di lucidità ma pregno di passione come il dire di un sapiente antico e di un vate. Ma la comprensione della dialettica ragione – non ragione, l’ossessione dell’ombra e del suo sudario di angoscia e morte non esauriscono un’indagine serrata che incalza l’essenza dell’umano. Borgna allarga così, con assoluta coerenza, la sua attenzione dall’alienità all’alterità del quotidiano. Cadono allora le barriere della “non comprensione”, subentra la consapevolezza che noi siamo un dialogo, un fluire di relazioni, di emozioni. Lo psichiatra diventa allora un saggio, viandante senza riposo che ha conosciuto e attraversato il disagio estremo della follia e che torna a parlarci della nostra condizione umana. Borgna ci parla di tenerezza, mitezza, di fragilità e di speranza. Nascono i capitoli di un breviario dove le espressioni alte del pensiero e della poesia si fondano con le emozioni di ogni giorno, e fluiscono, come diceva Sandro Penna, “nel dolce rumore della vita”.  

Oltre a lasciarci un’eredità di sapere e di saggezza, Borgna in tutta la sua opera è sorretto da una dimensione etica, che sempre ha contraddistinto le scelte civili e professionali. La “valanga culturale” ha travolto non solo gli steccati di ideologie ma anche le mura delle istituzioni totali e Borgna è stato in prima fila nell’accogliere la rivoluzione di Franco Basaglia e nel dar voce ai luoghi dove sopravvivevano solo i silenzi. Dal resto ascoltare il silenzio, saperne cogliere la gamma dei suoi infiniti messaggi, è stata la stella che sempre lo ha guidato. E mi si consenta, quale amico e compagno di strada a partire dall’avvio novarese, di esprimere la mia profonda tristezza ma anche la convinta speranza che i giovani sappiano accoglierne non solo il magistero psicopatologico ma anche il testimone.

Filippo Maria Ferro

Già Professore Ordinario di Psichiatria, Università di Chieti Presidente Onorario della Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica

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Report 2° incontro

XXII CORSO RESIDENZIALE DI PSICOPATOLOGIA FENOMENOLOGICA “ARNALDO BALLERINI”

2023

Si è tenuto a Figline Valdarno il secondo incontro del corso della Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica, dedicato alla “Fenomenologia della sofferenza giovanile”.

Ha aperto la prima giornata Riccardo Dalle Luche, direttore della Struttura Complessa Salute Mentale Adulti di Pistoia, uno dei soci fondatori della Società. Nella sua relazione su “La fenomenologia degli esordi e l’indeterminatezza diagnostica”, Dalle Luche è partito dalla vicenda storica che ha dato origine al concetto di schizofrenia, segnalando la centralità del concetto di ebefrenia di Hecker. Sulla base di una serrata critica alla rigidità delle visioni diagnostiche categoriali, Dalle Luche ha valorizzato la fluidità delle presentazioni dei fenomeni psicopatologici, in particolare nel caso della psicopatologia degli adolescenti. In quest’ottica, la psicopatologia dei nativi digitali è stata descritta come una matrice fluida, staminale/indifferenziata, in continuo mutamento, fortemente sensibile sia agli interventi terapeutici, sia alle dinamiche relazionali.

A seguire, lo psicologo napoletano Marco Di Cangio ha presentato una relazione su “La costituzione della presenza online”, introducendo internet come la terza rivoluzione antropologica, dopo quella agricola e quella industriale. Dal punto di vista antropologico, in ognuna di queste rivoluzioni si è modificato il modo di gestire lo spazio e il tempo. Nella rivoluzione industriale tempo e spazio si sono accorciati in una generale velocizzazione; con internet si sono contratti fino ad annullarsi, consentendo alla presenza online di essere ovunque e nello stesso tempo. Ma in quale modo? Qui Di Cangio ha introdotto il concetto di Schizoempiria, ovvero di scissione dell’esperienza, nel senso che nella relazione online si scinde la mente, che entra in relazione, dal corpo che non vi entra. E rispetto al corpo, mentre la relazione con il proprio corpo si mantiene, non si dà il corpo dell’altro (e correlativamente noi non offriamo il nostro corpo all’altro). Di Cangio sottolinea il concetto di feritoia, ovvero di uno scorcio dal quale si può guardare senza necessariamente esporsi. Eppure, queste scissioni non sono viste come un deficit, ma come un modo diverso di entrare in relazione, da cogliere sospendendo i pregiudizi. In questo senso la relazione si costituisce anche online, e le relazioni online non sostituiscono ma affiancano le altre, rendendo possibile un arricchimento di mondo.

La seconda giornata è iniziata con la relazione di Antonio Piotti, filosofo e psicoterapeuta della Fondazione il Minotauro di Milano, sul tema degli “Hikikomori, adolescenti che si nascondono”. La relazione, intrisa di una ricca esperienza sul campo, è partita dalle prime osservazioni di hikikomori in Italia, che erano tipicamente adolescenti maschi senza disturbi cognitivi o sintomi psicotici, nei quali il ritiro sociale è il fenomeno primario e ruota spesso attorno alla sensazione di sentirsi goffi e inadeguati di fronte allo sguardo dei compagni. Il corpo e la vergogna sono centrali, e il ritiro con la chiusura in casa rendono il forte utilizzo della rete un fenomeno derivato, una protezione che consente di mantenere una socialità senza mettere in gioco il corpo. Dunque, non la rete come attrattore e causa del ritiro, ma al contrario come risorsa a cui attingere per mantenere un minimo di socialità, e a volte anche occasione di crescita. Rispetto a questo, si è poi sottolineata la differenza con le nuove forme di ritiro, quelle successive alla pandemia, che riguardano più spesso le ragazze e che appare come un ritiro secondario. Infatti, la problematica appare qui più depressiva, con una forte angoscia a riaprirsi al mondo, con sintomi di varia natura, tra cui spesso quelli del comportamento alimentare.

Hanno chiuso la giornata Franca Madioni e Aitziben Lopez de Lacalle, psicanaliste di Ginevra, che hanno portato una relazione su “Tempo, spazio e assetto psicoterapico nel disagio giovanile”. Riflettendo sull’impatto della pandemia, è stato segnalato come vi sia stata una rottura netta rispetto alla dinamica espansiva, ascensionale, quasi maniacale, che caratterizzava il mondo dell’ipermodernità antecedente la pandemia. Essa ha riportato le persone al contatto più “depressivo” con il radicamento verso la terra, e questa esperienza non può essere semplicemente negata con il finire delle restrizioni e dell’emergenza. Si è fatto notare come la fenomenologia permetta di disarticolare lo spazio e il tempo, e se lo spazio nel setting terapeutico deve diventare flessibile per adattarsi alle nuove esigenze che nascono dal piano del reale, dall’altro lato il tempo, nella sua dimensione più astratta e trascendente, consente di articolare le interpretazioni per far emergere il “fantasmatico” in una relazione di confidenzialità e fiducia.

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Report 1° incontro

XXII CORSO RESIDENZIALE DI PSICOPATOLOGIA FENOMENOLOGICA “ARNALDO BALLERINI”

2023

Si ritorna nella splendida cornice di Figline Valdarno. Si è conclusa oggi, infatti, la prima due giorni della XXII edizione del Corso Residenziale di Psicopatologia Fenomenologica “Arnaldo Ballerini”.

prof. Giovanni Martinotti – dott. Giorgio Castignoli – prof. Filippo Maria Ferro

Alla presenza di un nutrito gruppo di professionisti di tutte le età con la passione per il lato umano dell’incontro clinico, si sono succeduti gli interventi del dott. Luciano Del Pistoia, del prof. Federico Leoni e per concludere del prof. Filippo Maria Ferro. Ha introdotto i lavori il nuovo Presidente della Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica dott. Giorgio Castignoli, coadiuvato nella moderazione degli interventi dal Prof. Giovanni Martinotti.

prof. Giovanni Martinotti – prof. Federico Leoni – dott. Luciano Del Pistoia

Nella sua relazione Del Pistoia ha tratteggiato gli elementi fondamentali del suo ultimo libro “Il dialogo con l’insensato”, l’ultima maturazione della sua lunga frequentazione della psicopatologia francese. In particolare, partendo dal contrasto tra le due figure storiche di Chiarugi e Pinel, Del Pistoia ha tratteggiato le distinzioni fondamentali tra la psichiatria organicista e demenzialista da un lato, e l’apertura al senso della follia nell’approccio fenomenologico-eidetico maturato in Francia dall’altro.

Nel suo commento, Federico Leoni ha ripreso la questione del soggetto all’interno della tradizione fenomenologica, mostrando come dietro alcuni orientamenti clinici vi fosse una distinzione teoretica tra mantenimento del soggetto fenomenologico e sua destrutturazione verso l’impersonale.

Come da tradizione a Figline le relazioni sono state seguite da un ampio e partecipato dibattito, nel contesto del quale si è approfondito il tema della relazione tra psicopatologia francese e tedesca, sottolineando i passaggi storici nei quali si sono aperti spazi di comprensibilità dell’esperienza delirante.

Nella giornata successiva il Prof. Ferro ha presentato un’ampia ed apprezzata ricostruzione dell’ormai centenaria storia della psicopatologia fenomenologica. Partendo dai due lavori fondamentali di Minkowski e di Binswanger, che a cavallo del 1923 hanno dato origine al movimento fenomenologico, il racconto si è dipanato attraverso le maggiori figure della psichiatria e della filosofia europea. Come sempre il Prof. Ferro ha tratteggiato da par suo le vicende umane e teorico-cliniche di un secolo di psicopatologia fenomenologica nella cornice del panorama culturale europeo, con particolare riferimento alla storia dell’arte narrativa e figurativa. Durante il dibattito la discussione si è dipanata lungo la linea che collega il contesto culturale, la storia concettuale e la riflessione epistemologica.

Questi primi due giorni di riflessione sui fondamenti storico-concettuali rappresentano il ponte ideale verso i prossimi seminari dedicati alle nuove frontiere della psicopatologia.

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